Come descriverebbe la sua filosofia culinaria?
La mia filosofia culinaria è radicata nella precisione, nella creatività e nella libertà. Il mio obiettivo è sorprendere con sapori audaci e vibranti che sono al tempo stesso unici e profondamente personali. Non legata a cucine o tendenze nazionali, lascio che siano l’intuito e la curiosità a guidarmi. Ispirandomi alla natura e alle stagioni, lavoro con piccoli produttori locali accuratamente selezionati che condividono il mio impegno verso la qualità e l’autenticità. Il mio approccio è giocoso ma meticoloso, bilanciando maestria tecnica e sensibilità estetica per creare piatti che sono tanto belli quanto saporiti.
Quali sono le sue fonti di ispirazione?
Mi ispiro a molte fonti: i ritmi della natura, la purezza degli ingredienti, la creatività dell’arte e del design, ricordi cari, nuovi luoghi, sapori diversi e, soprattutto, la mia immaginazione.
In che modo l’area geografica in cui si trova il suo ristorante ispira i suoi piatti?
Monaco è la mia città natale, dove sento le mie radici e dove la mia creatività si esprime al meglio. Qui c’è un’energia unica che influenza profondamente il mio modo di cucinare. Lavoro a stretto contatto con agricoltori, raccoglitori e artigiani locali, la cui passione ed esperienza danno forma alle mie scelte in fatto di ingredienti. Per me, si tratta di creare un forte senso di luogo senza confini. Monaco mi dà una forte base, ma anche la libertà di cucinare senza limitazioni, oltre le cucine o le tendenze nazionali. Ogni piatto riflette il luogo in cui mi trovo, come mi sento e il percorso che voglio condividere in quel momento specifico, in questo luogo speciale che chiamo casa.
Che ruolo svolge la musica nella sua vita?
Per me, non esiste un giorno senza musica. Mi aiuta ad ascoltare le mie emozioni, concentrarmi, sentirmi più energica e perdermi nell’arte. La musica crea spazio per riflettere, sentire e immaginare. In cucina, è l’energia invisibile a dare forma al mood del team, e a volte persino al piatto. Come la cucina, la musica è una questione di composizione: contrasto, armonia, tempi e silenzio.
Come si è evoluto il suo modo di cucinare con il progredire della carriera?
All’inizio, mi concentravo sulla precisione, per padroneggiare la tecnica, onorare la tradizione e dimostrare che meritavo il mio posto. Nel tempo questo è cambiato. Ora la cucina è più intuitiva ed emotiva. Mi fido del mio istinto. Ho imparato che la semplicità può essere la mossa più audace, e che un piatto non deve essere appariscente per essere memorabile. La mia cucina è diventata più personale e riflette la mia storia, il mio stato d’animo e la mia curiosità.
Cosa la rende “Krug Lover”?
Krug parla a ogni parte di me: come chef, come mente creativa e come una persona che apprezza la profondità e l’intenzione. Ammiro la maestria artigianale senza compromessi e l’arte dell’individualità della Maison, oltre al modo in cui ogni bottiglia racconta una storia. Krug è audace, complesso e preciso ma pieno di emozione, proprio come il tipo di piatti che miro a creare.